Dalla crescita individuale alla crescita sociale

crescita sociale e crescita di gruppo

Dalla crescita individuale alla crescita sociale

Edito in: Sostenere lo sviluppo sociale, Liguori editore, Napoli 2001.

 

“Quando il Bambino Naturale ha il permesso di esserci nasce un fenomeno di contagio collettivo, il desiderio e l’accettazione dell’altro così com’è, al di là delle differenze e del ruolo professionale o sociale che ricopre”.

 

L’individuo e i grandi gruppi

Mi sembra molto importante che oggi, attraverso questo convegno, gli psicologi ufficialmente si propongono come titolari di un compito che certamente compete loro, a fianco di amministratori, politici, insegnanti e quanti altri si prendono cura dello sviluppo sociale.

L’enfasi viene messa sui sostegni economici e sulla vivibilità ambientale per migliorare le condizioni di vita di quanti versano nel disagio o addirittura stentano a sopravvivere, o lottano con la precarietà derivante dai disastri naturali, non esaurisce le necessità dei gruppi sociali.

Naturalmente, riconosciamo l’estrema importanza di questi aspetti. Lo sviluppo sociale, tuttavia, comprende anche la crescita di valori e di concezioni che promuovono cambiamenti nelle relazioni umane e nel significato del vivere in una società.

Su questi temi voglio intrattenermi per proporre alcuni stimoli e condividere esperienze. Da psicoterapeuta guardo alle problematiche relative allo sviluppo sociale con l’ottica del cambiamento non solo individuale, ma anche dei grandi gruppi, esperienza alla quale da anni partecipo in Italia e all’estero. Mi riferisco ad ambienti ai quali generalmente si arriva attraverso la psicoterapia e a persone che hanno già scelto un percorso che affianchi alla cura del disagio psichico una via per la crescita personale. Sono, quindi, esperienze limitate nel numero dei partecipanti ma che tuttavia, per gli effetti che producono, danno importanti indicazioni rispetto all’intervento su territori più vasti. È chiaro che per operazioni di maggiore interesse collettivo andrebbero coinvolte le istituzioni che di fatto hanno il contatto più immediato con il tessuto sociale, costituito sia da quanti in esse lavorano e sia da quanti usufruiscono di servizi. Prima di tutte la scuola.

L’impegno è, quindi, su due livelli che coesistono e si influenzano a vicenda: come può cambiare oggi l’individuo e come, con esso, la società. Il singolo, in quanto parte della comunità, dà i suoi apporti al gruppo sociale e, viceversa, la collettività nel suo complesso, con il proprio assetto culturale, attraverso valori condivisi, influenza il comportamento dell’individuo e ne condiziona le tendenze naturali.

In Analisi Transazionale si parla di un genitore culturale che viene incorporato, al pari di quelli biologici, fin dalla prima infanzia. È ovvio allora che per ottenere effettivi cambiamenti bisogna agire nelle due direzioni: gli individui che compongono il gruppo ed il gruppo stesso nella sua globalità.

 

La phisis

La psicologia, quando segue una concezione di tipo medico, è centrata sugli aspetti patologici della personalità. Cerca di individuare le ragioni e le aree del malessere e poi di curarlo. Ci sono altri modi per intervenire.

È possibile prevenire o curare la sofferenza psichica attivando le parti ‘sane’, energizzando il potenziale. E. Berne, che pur dette un articolato corpus teorico al suo sistema terapeutico, attribuì la capacità di guarire alla ‘phisis’, la connaturata energia vitale che guida la trasformazione, il principio su cui si fondò l’arte medica di Ippocrate.

È una forza naturale, spontaneamente diretta verso la salute, che spinge gli uomini a crescere, progredire e migliorare. Nella psicoterapia moderna è una concezione implicitamente recepita da quelle scuole che si sono ispirate alla fenomenologia, all’esistenzialismo e alle tradizioni orientali, proponendo filosofie del cambiamento poggiate su visioni olistiche dell’uomo.

Trattando dello sviluppo sociale le domande che si impongono sono: in che cosa l’individuo e la società possono cambiare oggi e in quale direzione si muove la psicologia?

Accanto allo psicologo e allo psicoterapeuta stanno emergendo nuove figure di professionisti che lavorano in ambito sociale con diverse aree di specializzazione. Si coglie sempre più una tendenza ad occuparsi delle problematiche esistenziali e della qualità della vita psichica e si estende il lavoro sul territorio.

 

Il bisogno di sicurezza

La perdita di riferimenti certi, la crisi delle religioni e della famiglia hanno portato un vuoto di significato e una mancanza di fede che sostengono la paura, il sospetto e la diffidenza.

Quel vuoto va riempito coltivando e dando spessore a valori umani diversi. Colpisce, oggi, la grande diffusione di patologie che si manifestano attraverso il panico paralizzante, costringendo l’individuo nel suo ambiente, unico posto nel quale sembra sentirsi al sicuro. Si riduce a sopravvivere in uno spazio limitato che lo protegge e da lì non osa allontanarsi, convinto com’è che il mondo è pericoloso.

C’è in generale un ritardo di autonomia che diventa fenomeno sociale: gli uomini restano più a lungo bambini. Il mafioso ridicolizzato e a sua volta reso più umano dalle sue crisi di panico, interpretato da R. De Niro nel film Terapia e pallottole, è il segnale di un fenomeno che si diffonde. I telefonini, ogni giorno più sofisticati, senza dubbio facilitano le relazioni e gli scambi, d’altro lato vengono spesso utilizzati per mantenere una reperibilità costante, anche quando non necessaria e per non perdere l’illusorio sostegno di contatti rassicuranti.

La comunicazione a distanza, le e-mail, le chat-line consentono di collegarsi in tempo reale con persone mai viste che sono in altre parti del mondo o addirittura di ottenere servizi attraverso sistemi anonimi che sostituiscono persone. L’interazione avviene con uno schermo. Il viaggiatore telematico è sempre più portato ad immaginarsi i suoi interlocutori piuttosto che incontrarli in uno scambio faccia a faccia, in un contatto reale.

È anche un modo per mascherarsi e nascondersi all’altro, magari proponendo di sé un ‘personaggio’ diverso che lo salvi da critiche e giudizi. Il ‘chattare’ in questo caso attiva ulteriore narcisismo e protegge dall’impatto svalutante con i propri limiti. Con ciò non voglio dire che prima si viveva meglio.  Non ne ho l’intenzione. Credo che ogni epoca abbia le sue spinte: alcune stimolano la crescita, altre tendono a fermarla. In ogni caso la trasformazione continua, nessun tempo si ripete.  Ci tocca trovare creativamente le soluzioni al nuovo che sopravviene.

 

Il terapeuta nel modello SAT

Nella mia professione non mi interesso soltanto di curare sintomi ma anche di facilitare l’apertura della coscienza a nuove consapevolezze e di trasmettere attraverso la terapia una visione dell’uomo. In questa ottica, senza tralasciare la pratica clinica e formativa, mi sono interessato e mi interesso agli interventi sui grandi gruppi. In particolare mi riferisco ad un programma che, con la sigla SAT e con la guida di C. Naranjo che lo ha elaborato, stiamo praticando in Italia, Spagna, Brasile e parzialmente anche in altri paesi.

Si tratta di un modello formativo che si articola, con differenti metodologie e tecniche di intervento, lungo un continuo che attraverso più livelli e per tappe successive mira ad un cambiamento basato sullo sviluppo personale. In questo contesto, emerge una figura di terapeuta che esce dagli schemi classici per rispondere ad ulteriori e diverse esigenze che partono dal tipo di setting e dai partecipanti.

In generale, oggi al terapeuta si richiedono altre funzioni ed altre qualifiche e quindi altro tipo di formazione. Lo psicologo è chiamato ad uscire dei luoghi deputati e a praticare sul campo. Agendo in un ambiente non più protetto dalle regole del setting classico, il terapeuta gioco forza vede ampliati i confini di neutralità ed astinenza ed è chiamato ad un coinvolgimento più attivo.

I contatti sono diretti, immediati, con forti tensioni emozionali che necessitano di rapide elaborazioni dei vissuti transferali. Si richiede al terapeuta di entrare nella relazione partecipando maggiormente ma senza perdere il ruolo pur stando nel contatto. Questo significa avere l’opportunità di presentare non solo l’aspetto professionale ma anche delle verità umane attraverso una diversa autenticità.

Le prospettive della ‘cura’ sono ampie e la filosofia di base è quella di utilizzare la salute mentale già attiva alla quale affiancare l’attenzione per la patologia. Il terapeuta non sarà quindi soltanto un clinico esperto, ma si interrogherà sul “chi sono”, l’eterna domanda che ha guidato chi si è coinvolto nella via della conoscenza, l’interrogativo sul destino umano che angoscia nel profondo, che ne sia consapevole o no, il paziente, il consultante e l’uomo della strada. A partire dai grandi saggi e dai libri della conoscenza, Gilgamesh, l’Odissea, il Mahabharata, nella letteratura di ogni tempo viene rappresentato il viaggio dell’eroe, di colui che cerca il senso della realizzazione ultima.

Il paziente guarisce dei sintomi, supera momenti di crisi e, paradossalmente, emerge più evidente il suo stato d’infelicità, prima nascosto degli stessi problemi. È la condizione umana. Il contatto più profondo con sé e il disvelarsi di una fragilità più sottile che riguarda la consapevolezza dello stato di precarietà che coinvolge ogni esistente, porta alla ricerca di altre risposte e al desiderio di dare significato alla propria vita. Il percorso terapeutico necessita di altri interventi.

 

La carenza ontologica

Una delle grandi ispirazioni della psicoterapia della Gestalt è stata la tensione verso la salute mentale. Di qui la sua implicita spiritualità e l’attenzione alle tradizioni buddhiste dalle quali ha integrato filosofia, tecniche e metodiche che furono incorporate nel modello clinico. L’uomo soffre di un vuoto profondo, è un vuoto esistenziale, nasce con lui. Una carenza ontologica con la quale farà i conti per tutta la vita. Com’è questa esperienza? Non la si analizza, non ha cause e non è il prodotto di cattivo accudimento o di traumi psichici. C’è.

È un’esperienza soggettiva, non generata, e appartiene a tutti. Il voto viene vissuto come una mancanza d’essere ed associato alla noia che emerge dalla non-azione. L’attività, il fare, ne è il complemento. L’uomo occidentale è l’uomo che fa, non può non agire. Diverso è nelle culture orientali nelle quali il vuoto non spaventa, anzi è da esso che nascono i fenomeni. F. Perls, per altre vie attribuì al vuoto una funzione creativa. Il vuoto è creativo. In realtà la sua concezione del vuoto fertile, così lo definì, esperienza che si stabilizza ad un punto zero, un punto neutro dal quale si sviluppa il nuovo, viene da un filosofo tedesco, Friedlaender, del quale abbiamo perso tutte le opere, distrutte dal nazismo.

Su altro livello, quello psicologico, viviamo il vuoto esistenziale in forma di carenza d’amore. È la scissione primaria, il senso di perdita di un legame originario che ci dava felicità, una felicità poi perduta a seguito della separazione che comporta, alla nascita, la rottura della fusione con la madre. Da qui deriva il senso di precarietà e insicurezza connesso alla mancanza di riferimenti di chi sperimenta lo choc di trovarsi ad esistere come “gettato nel mondo”.

È da questa perdita originaria, sia essa intesa come allontanamento dalla propria essenza o in termini di distacco traumatico dal legame con la madre, che si sviluppa la patologia e la sofferenza umana, vissuta come effetto di un’arcaica mancanza d’amore. La deficienza nel rapporto con gli oggetti primari resterà una costante nella vita. Aspiriamo all’amore e lo facciamo in maniera compulsiva, da un lato per effetto di difficoltà relazionali e dall’altro, più profondamente, perché è proprio della natura umana, come già visto, sperimentare nei momenti di ‘noia’ uno stato di vuoto interno che si associa al terrore di finire nel nulla a cui reagiamo con l’azione, anche se si tratta di un agire senza oggetto specifico e del tutto inutile. Rendersi conto della propria condizione ci fa sentire disperati, sembra che non ci sia soluzione.

Quindi diventa fondamentale, in ogni processo di cambiamento, facilitare lo sviluppo della capacità amorosa. È logico: se manca amore, bisogna ripristinare amore. Possiamo formulare una teoria della personalità che si fonda proprio sulla concezione del vuoto e della intollerabilità a questo stato che, in termini fenomenologici, viene sperimentato come un annullamento dell’esistenza. C. Naranjo ipotizza che la personalità si organizzi attraverso un processo attivato per colmare un vuoto originario che non possiamo sopportare e quindi lo riempiamo, ognuno a suo modo con comportamenti, pensieri, idee ed emozioni specifiche e coerenti tra loro. Sono adattamenti nei quali ci identifichiamo e attraverso di essi abbiamo il senso del nostro esistere. Inizialmente sono esperimenti mirati a sopravvivere e ad avere uno spazio e un significato nel mondo: cosa faccio per esserci ed essere amato.

Infine diventano Copioni di vita rigidi, stereotipati e ripetitivi. Sono prodotti di un bisogno basico d’amore nelle diverse forme che esso assume per ciascuno di noi. Se ne dimentichiamo per un momento gli aspetti patologici, scopriamo che gli adattamenti hanno un contenuto creativo, servono a proteggersi ma anche a mantenere uno spazio nel mondo che dia valore e il senso di appartenere.

 

La psicologia degli Enneatipi

L’aver concepito una teoria della personalità fondata sul principio del vuoto deriva direttamente dall’elaborazione della psicologia degli Enneatipi fatta a partire da una antica tradizione dell’esoterismo cristiano-sufi che dette una particolare attenzione agli aspetti psicologici connessi all’impedimento dello sviluppo spirituale. In pratica si tratta di una revisione in termini moderni della tradizione dell’Enneagramma che riconosce nove forme principali di adattamento che a loro volta si suddividono in ventisette sub-tipi. Ciascuna di queste organizzazioni di personalità, definite in termini di carattere, è frutto di scelte operate in età precoce ed è mirata a riempire il vuoto e a soddisfare la necessità di amore. Naturalmente, è utile diventare consapevoli del proprio modello caratteriale. Quando conosciamo le regole interne che determinano le nostre azioni possiamo gestirle, se restano inconsapevoli è il carattere che ci governa.

Ogni tipologia da un lato ci limita e dall’altro contiene già in sé quelle vie ‘virtuose’ che possono facilitare la trasformazione interiore. Riporto sinteticamente alcune caratteristiche dei nove tipi di base, sottolineando che la descrizione degli Enneatipi è molto più vasta e articolata. Tra i fattori costituenti vanno considerate le ‘passioni’ che sono definibili come alterazioni patologiche di stati emozionali naturali, le ‘fissazioni’ che si riferiscono a nuclei cognitivi razionali e generalizzanti e i sistemi difensivi, specifici per ciascun carattere. Ognuno dei nove tipi si differenzia al suo interno secondo ulteriori direttrici rappresentate da tre istinti di base: sessuale, sociale e conservativo.  Il carattere trova le sue soluzioni verso la salute psichica e spirituale se vengono adottati determinati comportamenti alternativi alle ‘passioni’, alimentando la consapevolezza, disarticolando i nuclei cognitivi paralizzanti e attivando lo stato contemplativo attraverso la meditazione.

Tipo n. 1 – È una persona che tende al perfezionismo ed è molto esigente verso se stesso e gli altri. Ha radicata una convinzione che lui stesso e la vita così come sono non vanno bene e si sforza di cambiare la realtà che lo circonda. Si adira di fronte alle cose fatte male, cerca riconoscimento per i suoi meriti, ha alto il senso dell’ingiustizia e un’attitudine moralista che gli rende difficile la vita.

Tipo n. 2 – Il suo carattere è basato sull’orgoglio. Si illude di avere una pienezza interiore e tende ad elargire ‘ricchezze’ che di fatto non ha. Tipo particolarmente volubile, tende a fare promesse che poi non mantiene. Nasconde le sue carenze e si mostra aperto ed espressivo, piacevole e contento, emotivamente vivo. Può essere ambizioso o seduttivo, soffocante con la sua presunta ‘abbondanza’ d’amore.

Tipo n. 3 – Si identifica nella sua immagine, vive per l’apparenza. Gli piace brillare, essere visto. Capace di adattarsi ad ogni circostanza, ha sempre l’immagine adeguata. Che sia efficiente o in cerca di approvazione, si aspetta che gli dicano bravo. Vive come dinanzi ad uno specchio e così evita angoscia e vuoto profondo.

Tipo n. 4 – Guarda a ciò che hanno gli altri, ed è sempre di più di quanto lui possiede. La sua vita è permeata di sofferenza. Può proporsi in maniera aggressiva o lamentosa per ottenere ciò che gli manca o rinunciare reprimendo le necessità. Si sente particolarmente sensibile e non capito. È incline all’autosvalutazione ed è incline a creare lacci simbiotici.

Tipo n. 5 – Tende al ritiro, a cercarsi una tana nella quale si isola. Avaro nell’espressione dei sentimenti non mostra di avere necessità di contatto con altri. Timido e introverso osserva piuttosto che partecipare. Freddo e distante evita le relazioni convinto com’è che nel gioco del dare e dell’avere lui ci rimette. Può aspirare ad alte realizzazioni totemizzando l’altro o se stesso.

Tipo n. 6 – Dominato dalla paura a volte si immobilizza e non trova soluzioni, in altri casi assume un atteggiamento controfobico e tende all’azione anche in modo aggressivo. Insicuro nel fondo si autoaccusa o cerca il colpevole e, proiettivamente, accusa l’altro. Fondamentalmente blocca la sua azione perché angosciato dal dubbio di sbagliare. Il sub tipo più debole cerca il riferimento sicuro a cui appoggiarsi.

Tipo n. 7 – Affronta la vita con astuzia ed evita le esperienze spiacevoli. Non si lascia schiacciare dalle circostanze ma cade sempre in piedi. Cerca il seno buono e tende a inseguire fantasie irrealizzabili. Profondamente narcisista ha un’attitudine antisociale nel suo anticonformismo. Può essere disponibile servizievole se gli è utile per evitare problemi. Nasconde a sé stesso il dolore profondo causato da distacchi precoci e assume una maschera di contentezza fittizia.

Tipo n. 8 – È un carattere ‘lussurioso’, ma non specificamente rivolto alla sessualità. Ama le esperienze forti e cerca forti sensazioni. Può essere violento e non permette la più piccola offesa. Fondamentalmente di carattere antisociale e vendicativo attacca e si difende ancor prima che lo colpiscano. Tende a conseguire il potere e anestetizza le proprie emozioni.

Tipo n. 9 – Ha una maniera pigra di vivere ma non nell’azione. Si tratta di una pigrizia interiore. Contatta poco gli aspetti profondi di sé. Molto altruista, facilmente si dedica all’aiuto degli altri fino a dimenticare se stesso. È una persona iperadattata, piacevole e gioviale nei rapporti. Si comporta da bravo bambino precocemente cresciuto. Ha molta difficoltà ad esprimere sentimenti aggressivi.

Questo tipo di lavoro su se stessi può essere esteso ai grandi gruppi. L’Enneagramma è la mappa dei diversi caratteri umani che incontriamo ogni giorno, per le strade, negli uffici e ovviamente nei nostri pazienti. In ogni ambiente e paese si troverà ciascuna nelle tipologie indicate, con le debite differenze dovute alle caratteristiche culturali del posto. Ciò che resta costante è il nucleo centrale intorno al quale ogni carattere si forma. Altro fattore di rilievo è che non esiste un tipo in sé più sano. In ognuno di essi sono riscontrabili vari gradi di salute mentale o patologia, pur conservando le loro specifiche caratteristiche.

Tanto per dare qualche esempio: nella tipologia numero sette rientra sia la persona che conduce una vita socialmente integrata e magari si propone come persona fantasiosa, amante del nuovo, che tende a sottrarsi a regole obblighi, sia il ‘pazzo felice’, quello che, per intenderci, si perde nelle insalate di parole. Nel numero quattro si incontra sia la persona incline al pessimismo, chi ha difficoltà di scelta, insoddisfatta dell’amore che riceve, legata al passato e con una convinzione di fondo del tipo che solo dopo che avrà molto sofferto finalmente sarà felice e però inserita, e spesso molto bene, nella vita sociale, e sia le patologie border-line o le depressioni gravi.

L’articolato intreccio di esercizi psicologici studiati per il riconoscimento del proprio carattere e di quello degli altri, facilita l’incontro e soprattutto la verifica consapevole che ci sono vari modi di organizzare la propria esistenza. Comportamenti che ci feriscono non sempre sono effettivamente rivolti contro di noi. Il più delle volte sono conseguenza di una trappola caratteriale che originariamente fu costruita per far fronte a paure e garantirsi la sopravvivenza, fino a fissarsi poi in una vera e propria modalità esistenziale.

È più facile sentirsi solidali quando è possibile concepire che le persone, nella loro diversità, stanno seguendo vie differenti ma condividono desideri e aspirazioni simili. Tutti siamo alla ricerca di significati da dare alla nostra vita. La paura domina l’esistenza umana anche quando la si nasconde a sé stessi attraverso atti di coraggio che non valutano il rischio. Il controfobico nega la paura e si lancia nelle imprese per non sperimentare l’angoscia della sua precarietà. Viviamo con il senso dell’impermeabile e nel fondo di noi stessi siamo terrorizzati dalla possibilità di finire nel nulla.

Le maschere che assumiamo, nell’imporci comportamenti fissi e ripetitivi, ci proteggono da libertà troppo inquietanti. Abbiamo bisogno allora di guide e riferimenti, appoggi che non troviamo in noi stessi e cerchiamo fuori, nel partner, nel maestro, in una teoria o nel nostro stesso pensiero. Vogliamo certezze e a volte ci ancoriamo ad ideali che, in quanto irraggiungibili, favoriscono una falsa fede che sostituisce una più concreta fiducia in sé e nei propri potenziali. La pigrizia, il numero nove, da un lato rappresenta un carattere specifico, e dall’altro è una modalità di vivere che, con enfasi diversa, appartiene a tutti nei momenti in cui evitiamo di provare sentimenti, neghiamo le emozioni o quando rifiutiamo di guardarci dentro.

È una forma di ‘passione’ che tende a inaridire l’animo e, quindi, a spegnere la vitalità, riducendo la persona a stati di ‘pachidermismo esistenziale’, un’attitudine aproblematica verso la vita che si manifesta attraverso una bonarietà paccioccona che viene bene accolta e rinforzata da quanti ne utilizzano la disponibilità. Chi non ama farsi domande cade in un’esistenza insignificante.

Per non soffrire spegne le sue fonti di energia. Paradossalmente però il tipo nove può essere molto attento ai bisogni dell’altro e nell’offrire aiuto fino all’abnegazione, si dimentica di sé. Proietta fuori, sugli altri, il bambino che non ricevette abbastanza e, attraverso un meccanismo di professione, come viene chiamato nella teoria della Gestalt, dando all’altro illusoriamente cura il bambino che lui stesso fu. Sono scambi relazionali basati sul sacrificio e la rinuncia inconsapevoli e, quindi, poco arricchenti.

Quando il processo diventa consapevole i sentimenti impliciti d’amore si riempiono di verità. La consapevolezza di sé e la comprensione dell’altro producono valori che ci danno senso e, quando siamo impegnati per dar corso al nostro essere umani, l’animo si pacifica ed è più facile collaborare per crescere insieme.

 

La coppia

La popolarità che diventa intolleranza nelle coppie è, in effetti, il sale della coppia stessa. Nella differenza si cresce. Purtroppo quella inclinazione che ci fa scegliere un partner piuttosto che un altro spesso è attivata per mantenere una propria visione del mondo, delle proprie convinzioni su se stessi e gli altri e, attraverso i meccanismi di gioco psicologico, si tende a portare la relazione all’inaridimento o alla insopportabilità.

Ma se l’altro ha un carattere complementare al nostro vuol anche dire che ha caratteristiche che a noi mancano e che stiamo proiettando su di lui, sia quando sono patologiche e sia quando si tratta di qualità arricchenti. Anche qui occorre consapevolezza: forse possiamo imparare proprio da quanto rifiutiamo. È possibile che la persona esageratamente impegnata ed esigente, che non cede alcuno spazio al proprio piacere, possa imparare ad integrare un po’ di quegli aspetti di ‘irresponsabilità’ o ‘menefreghismo’ che rifiuta nel compagno e scoprire che poi non è tanto negativa, quella persona.

Soltanto, proprio come lui, vivendo una polarità opposta, ha male inteso ciò di cui ha bisogno ed è caduto in una esagerazione ‘appassionata’. Se sperimenta il lasciarsi andare può scoprire quanto guadagna nel mollare un po’ la presa e certo non per questo perderà responsabilità. Forse addirittura sarà più ascoltato. Scoprire trame così semplici, ma a volte completamente nascoste, è un po’ come aprire la porta ad una nuova personalità, non perché nasca un uomo nuovo ma perché, ripulita dalle incrostazioni caratteriali accumulate nel tempo, finalmente può essere guardata.

Meno drammatica che una psicoterapia, la Psicologia degli Enneatipi porta direttamente alla conoscenza di sé, in maniera profonda. La sua mappa non riflette solo l’individuo, ma l’umanità nel suo complesso e quindi può essere usata come strumento di cambiamento sociale che nasce dalla conoscenza di menti sagge. Fu tenuta segreta per molto tempo ed oggi, in un’epoca di crisi, compare in Occidente, così come altre tradizioni spirituali, nel mondo della Psicoterapia della Gestalt e va ad integrare le conoscenze della moderna psicologia.

 

La scuola

Il primo grande cambiamento va fatto nella scuola. La cultura della scuola e dell’insegnamento è davvero lontano dal favorire crescita sviluppo. È certamente importante l’introduzione dello psicologo scolastico ma il rischio è che, ancora una volta, la psicologia venga associata alla patologia. Non abbiamo bisogno soltanto di sportelli di ascolto, ma soprattutto di cambiare una cultura. Insegnanti e studenti vivono in un deserto emozionale. C’è una crisi della scuola che è la crisi della società. Sono gli insegnanti che formano i nostri figli e vanno sostenuti: possono trasmettere valori essenziali per lo sviluppo sociale. Al contrario, i ragazzi sono sacrificati in un apprendimento arido, con pochi stimoli, angosciati da compiti che tolgono il fiato per quantità e pesantezza. Certamente non viene attivata, o addirittura è repressa, la loro creatività.

Diventano recipienti passivi di materie indigeste, introietti non assimilabili che poco aiutano a crescere. Ciò che conta è il programma: “Bisogna finire il programma”. Ma dov’è l’essere umano? Manca un contatto reale, il desiderio di sapere chi è l’altro. Nella maggior parte dei casi gli insegnanti non sono formati per trasmettere qualcosa di vivo, di stimolante, non sanno crescere e non possono far crescere i loro studenti. Qui è la vera sfida dello psicologo. Le scuole di psicoterapia ad indirizzo fenomenologico esistenziale, da tempo si sono fatte promotrici di concezioni dell’uomo e di metodologie di intervento che rispettino e facilitino lo sviluppo, lasciando spazio alle caratteristiche personali, nella convinzione che al bambino servano più permessi che divieti, e primo tra tutti quello di crescere senza perdere la propria individualità.

 

La prevenzione

Ritengo assolutamente necessaria la prevenzione ma bisogna intendersi: la prevenzione effettiva si esercita facilitando il cambiamento di cultura della collettività e proponendo modelli relazionali diversi. Lo psicologo non dovrà occuparsi soltanto della confusione sessuale, della timidezza, delle difficoltà di adattamento di apprendimento di chi va a scuola. Un intervento fondamentale è quello di rendere l’intero gruppo sociale, insegnanti e studenti, capace di intendere e di coltivare i valori della relazione della comprensione dell’altro. Ma questo non succede se prima, come individui, non si è in grado di riconoscere le proprie effettive necessità. Al di là dei modelli globalizzanti condividiamo bisogni e aspirazioni molto semplici e solo quando siamo insoddisfatti ci riempiamo di infiniti, inutili surrogati. L’empatia non è un obbligo e non la si può insegnare applicando regolamenti e normative sul come comportarsi. Occorrono atti concreti ed esercizio effettivo.

La sfida della psicoterapia della Gestalt fu nello sperimentare. Invece di parlare intorno alle cose, diceva F. Perls, sperimentiamo, assaporiamo attraverso un’azione guidata di lì nasceranno nuove consapevolezze. Accanto all’interpretazione del terapeuta ‘che sa’ si può favorire l’esperienza diretta del paziente. Quello che emerge diventa davvero suo. Sperimentare la relazione è uno strumento potente anche nei grandi gruppi e produce un contagio collettivo di salute mentale.

Nella scuola si parla moltissimo, si leggono autori di grande valore, poeti, filosofi, artisti, ma manca l’esperienza. La parola può evocare, la pagina di un libro può essere illuminante, ma non possiede l’energia viva di chi, avendo una conoscenza reale, perché sperimentata, sa come trasmetterla. Tante parole non fanno esperienza. Quando si ingoiano idee, concezioni e teorie senza assimilarle la cultura stessa diventa un limite e, paradossalmente, chiude la mente anziché aprirla. Si trasmettono introietti di generazione in generazione, si è fermi alle epistemologie e, nel secolo della fenomenologia, l’essere umano che vive, esiste nella sua complessità proprio qui, in questa quotidianità completa, nella scuola ancora non è entrato.

Anche la conoscenza del mondo emozionale fa parte dell’apprendimento ma questo argomento è tabù. Le fabbriche e le aziende più evolute lo hanno compreso e fanno programmi di sensibilizzazione, mentre la scuola è ferma. Hanno ancora scarso valore le relazioni studente-professore, studente-studente o le interazioni complesse di una classe. Lo studente è un cognome, si identifica in un voto o in un giudizio. Qui non è questione di cambiare o rendere più fruibili programmi, è questione di intendere cosa sia una relazione umana, chi sia quel bambino, quel ragazzo o quella ragazza, come vive, cosa sente, qual è il suo mondo interno.

 

La diversità

Un aspetto strettamente connesso a quanto detto finora è quello relativo alla diversità. Ci sono molte ragioni per ritenere di non essere come gli altri. Non parlo di esperienze razziali o culturali, ma di una diversità più sottile, psicologica, che autoalimentiamo. Deriva dallo stato interiore, da qualche aspetto di noi di cui ci vergogniamo e che, per questo, viene nascosto: non vogliamo far sapere. A volte si tratta del difetto fisico, di un problema di salute. A volte riguarda stati emozionali che sono stati repressi o ridicolizzati e il bambino si è convinto che non vogliono che pianga o che manifesti suoi desideri e lui sente il bisogno di farlo, allora qualcosa non funziona: è lui che è diverso.

Siamo educati a non mostrare, e a volte neanche a vivere, certe emozioni o certe esperienze. Le critiche, i giudizi, le svalutazioni sono messaggi che umiliano e ci mettono in una posizione di non valore rispetto agli altri che consideriamo migliore di noi. “Così come sono non vado bene e se voglio far parte ed esserci”, decide il bambino, “dovrò nascondere gli aspetti di me che penso saranno rifiutati”. Il suo handicap o quello che pensa sia il suo limite diventa un segreto e, nascondendolo, davvero si sente diverso. Così impara a dare di sé una falsa immagine e, invece di favorire l’avvicinamento e lo stare con gli altri, proprio in questo modo crea distanza: il non mostrarsi rende difficile il contatto. Infine la sua esistenza si organizza su una convinzione di fondo: se così come sono non vado bene, non posso essere amato.

 

La trasparenza

Il bambino interiore ha bisogno di manifestarsi. È necessario attivare la cultura della trasparenza per operare dignità. U. Maturana afferma che non ha senso la dichiarazione di uguaglianza tra gli esseri umani. Non è vero che siamo tutti uguali, questo non è un diritto umano. Ma tutti abbiamo il diritto di essere come siamo e come tali di far parte della comunità. F. Perls ritenne la trasparenza un fattore terapeutico di grande rilievo e lo considerò uno degli ingredienti principali dello stile gestaltico.

Possiamo avere limiti ed è sano mostrarli. Abbiamo il diritto di manifestare desideri e conflitti personali, emozioni positive e negative, il diritto ad avere una sensorialità e una sessualità e un bisogno fondamentale di dare spazio al bambino naturale. Accanto agli adattamenti è necessario aprirsi alla naturalezza dell’essere, senza giudizi di valore. Quando il bambino naturale ha il permesso di esserci, nasce un fenomeno di contagio collettivo, il desiderio e l’accettazione dell’altro così com’è, al di là delle differenze e del ruolo professionale o sociale che ricopre.

Lavorando con la psicologia degli Enneatipi mi colpisce con quanta rapidità si stabiliscano le relazioni quando l’ambiente lo favorisce. Le persone si cercano, vogliono sapere l’uno dell’altro: “ma tu come sei” “ah no, in questo io sono diverso”, “no, io sono più serio, più severo, tu mi sembri più emozionale”. Vogliono confrontarsi. I bambini sono curiosi, vogliono sapere come l’altro perché in questo modo il bambino sa chi è lui. A questo punto lavorano da soli, senza il terapeuta. Le persone sperimentano, si conoscono, si differenziano, e diventano consapevoli. Imparano a capire l’altro e a rispettarlo. È il non sapere che crea diffidenza. È importante intendere le ragioni dei reciproci modi di essere. C’è una storia dietro ogni persona. Attraverso lo scambio il gruppo si autoalimenta ed avendo linee guida da seguire non serve una presenza e un sostegno continuo. Alla fine tutti sapranno che ognuno a suo modo sta lottando fondamentalmente per gli stessi scopi.

Scopriranno poi che ci sono tante forme di amore. In generale il bambino si sente amato se viene soddisfatto nei bisogni fondamentali e tra questi ci sono le necessità di accudimento, il bisogno di essere accolto nelle sue espressioni emotive, di essere riconosciuto nelle sue piccole imprese, di ricevere calore, di contatto fisico, sono tante le forme di amore e ognuno apprende a darne o riceverne qualcuna in particolare. C. Naranjo parla di amore paterno, amore materno e amore erotico, ispirandosi alla triade padre, madre, bambino come simboli di una concezione dell’essere che apprese dal filosofo scultore Totila Albert. L’amore bambino è legato al piacere e produce l’erotismo, secondo le ispirazioni dionisiache.

L’amore materno, benevolmente, accudisce e riempie. L’amore paterno trasmette i valori, è idealizzante e riconosce il merito. E poi ci sono le deviazioni da queste forme. La compulsione all’edonismo o il romanticismo sentimentalista. La richiesta di attenzione senza limiti o l’amore soffocante. La totemizzazione di sé e dell’altro. Quest’ultimo aspetto riguarda le forme narcisistiche d’amore, che richiedono riconoscimento senza limite. In Analisi Transazionale sono considerati modi parassitari di entrare in relazione che tendono a stabilire dipendenze che vanno riconosciute per poter essere gestite.

 

Continuo di consapevolezza

Quando il gruppo viene coinvolto nel Continuo di consapevolezza, tecnica terapeutica e allo stesso tempo sintesi della filosofia gestaltica, ispirata alle tradizioni di conoscenza provenienti dall’Oriente, i partecipanti, praticandolo in maniera individuale e in relazione, scopriranno che tra un pensiero e l’altro, o nello spazio che corre tra sensazioni ed emozioni, c’è un attimo di vuoto. Inizialmente, fermandosi in quel vuoto, potranno sentire smarrimento o paura. Dopo un tempo scopriranno che quel vuoto è pieno. È la natura stessa dell’esistenza, lo stato della coscienza nuda, il silenzio interiore dal quale si genera ogni esperienza. C’è dunque qualcosa in noi che vale, non è necessario cercare fuori. Nel pensiero fenomenologico l’essere coesiste con l’esistere, nella concretezza della vita quotidiana. Calarsi nell’esistente attiva responsabilità, la capacità di risposta necessaria ad operare scelte a prendere decisioni. L’individuo esce dall’anonimato e diventa persona, e l’intera comunità convive quest’esperienza. Quando si affermano gli individui e le relazioni vengono scelte il gruppo funziona e produce.

 

La scintilla amorosa

 A questo punto può scattare la scintilla amorosa, la compassione. Nasce attraverso gli esperimenti che facilitano la trasparenza e la condivisione. La relazione, come insegna E. Berne, è soggetta a giochi psicologici, che possono terminare con finali drammatici, e in terapia alle confusioni transferali. Analizzarli e rendere consapevoli i meccanismi facilita il cammino verso l’incontro con l’altro. La via più immediata e più facilmente praticabile con gruppi di persone è quella dello sperimentare direttamente la benevolenza e la comprensione. Un giorno, forse, anche un amore più generalizzato. Non solo nella coppia, non solo per i figli, per i genitori o gli amici intimi. Allora i valori della psicoterapia, quelli che ritroviamo nelle filosofie e nei codici etici, diventano effettivi, non perché raggiungiamo risultati assoluti, non cerchiamo utopie, ma piccoli riscontri sì.

Ciò che davvero importa è che stiamo sperimentando. D’altro lato tutta l’esistenza è basata sulla ricerca d’amore, l’amore divino, l’amore della madre, l’amore per il bello, per le cose… e la terapia, sia che lavori con gli individui, sia che si sperimenti con i gruppi sociali è al ripristino della capacità amorosa che deve mirare. Vogliamo amore, e quando impariamo a condividerlo è una grande esperienza di guarigione. M. Buber, ispiratore della psicoterapia della Gestalt, intuiva che nell’io-tu si può stabilire un contatto da essenza a essenza e quando un essere umano incontra la natura di un altro essere umano, al di là delle maschere, ciò che si trova è amore.

Il titolo di un seminario che ho organizzato per C. Naranjo, proprio qui a Napoli, era “Verso un amore più pieno”. Sullo stesso tema è seguito un convegno a Barcellona nel quale sono stati fianco a fianco C. Naranjo e U. Maturana: la persona che maggiormente ha lavorato per l’integrazione di terapia e tradizioni spirituali e lo scienziato biologo. Entrambi, con due visioni diverse, hanno parlato di amore come terapia. Sono un clinico, ma oggi, per me terapia vuol dire “cambiamento sociale”. Dall’individuo ai grandi gruppi quello che può cambiare e la cultura sull’uomo. Non c’è amore nelle macchine, ma l’uomo nasce come essere amoroso. Per concludere voglio utilizzare una metafora ispirata da una storia biblica raccontata da Paulo Coelho: l’amore fa rinascere la città distrutta dagli Assiri. La donna amata dal profeta Elia dopo morta passeggia per le sue strade e l’amore di Elia e della donna danno vita ad una nuova città.